Il parco minerario

Una storia che inizia da lontano.

Sito minerario già attivo in epoca romana, come testimoniano i numerosi resti archeologici di lucerne e piccoli secchi per il trasporto del materiale, l’attività estrattiva nelle miniere di Montevecchio non si è mai interrotta, assumendo dignità industriale nel 700 grazie all’intervento dell’imprenditore svedese Carl Gustav Mande e della fonderia di Villacidro.

Ma è nella seconda metà dell’Ottocento che l’attività entra a pieno regime, grazie all’intraprendenza di un giovane prelato, Giovanni Antonio Pischedda, che giunto a Guspini intuisce la ricchezza dei filoni minerari della zona e la trasforma in una delle realtà più produttive e più importanti di tutta Europa: la prima vera industria della Sardegna.

A Marsiglia, in cerca di finanziatori, incontra casualmente un altro giovane sardo, Giovanni Antonio Sanna, colui che sarebbe diventato il padre fondatore del complesso minerario.

Sanna fonda la Società per la coltivazione della miniera di piombo argentifero di Montevecchio alla quale nel 1848 viene assegnata la concessione perpetua di tre appezzamenti di terreno, Montevecchio I, Montevecchio II, Montevecchio III, e fino al 1933 guiderà le sorti della miniera.

Una realtà internazionale.

Aperte le prime gallerie a giorno (galleria Anglo-Sarda) e la laveria Rio, intorno al 1856 sorgono nel piccolo centro di Gennas Serapis le prime costruzioni destinate ai dirigenti e principale, cui seguiranno negli anni i complessi abitativi per gli operai, il cui numero era già arrivato a 1100 nel 1865.

Con la crescita del polo minerario, arrivano importanti infrastrutture: prima la ferrovia Montevecchio Sciria – San Gavino Monreale, iniziata nel 1873, poi, nel 1874 l’apertura dell’ospedale, riconosciuto come il più all’avanguardia dell’Isola.

Nel 1900 la società Montevecchio è presente all’Esposizione Universale di Parigi come una delle maggiori produttrici di piombo e zinco, e ottiene numerosi riconoscimenti per l’innovazione e il miglioramento dei sistemi di lavoro: grazie a importanti investimenti, la miniera dispone sia all’interno che all’esterno dell’elettricità e adotta moderni sistemi di perforazione.

Storia di un declino.

Siamo quindi nel 1933, quando la famiglia Sanna, per cause diverse, divide l’azienda in due tronconi: la Montecatini acquisirà quello delle miniere, la Monteponi quello metallurgico.

A cavallo del secondo conflitto mondiale la società, con il nome di Montevecchio SIPZ, raggiunge il picco della produttività, grazie agli investimenti fatti sotto la direzione dell’Ing. Guido Donegani.

Nell’immediato dopo guerra la produzione si ferma, piegata dalle gravosa situazione economica che coinvolge tutto il paese, per riprendere con buoni risultati sino agli anni ’60, quando la Monteponi prende in mano tutta la società.

Il passaggio di proprietà del 1971 alla Sorgersa (Società statale e regionale di gestione delle risorse minerarie sarde) segna il declino della miniera, culminato con la storica protesta e la contingente occupazione del pozzo Amsicora del 1991 da parte di circa 86 minatori rimasti 27 giorni nelle viscere della terra per difendere il loro posto di lavoro.

Questo infatti è stato l’epilogo di una realtà industriale che fu vanto della Sardegna e la cui storia è una pietra miliare nel racconto del territorio e della sua popolazione.